domenica 27 giugno 2010

Fabricio Werdum, un lottatore di jiu-jitsu.

Milioni di watt illuminano all'improvviso la sua faccia. Ancora più bianca sotto la potenza di tutti quei neon. Per un momento solo mi ricorda un bambino che, colto sul fatto dai genitori a combinare una marachella, sta per piangere. La telecamera cerca con insistenza più il suo di volto che non quello del nuovo campione. Lo rincorre per un paio di minuti tutt'intorno all'ottagono mentre dalla parte opposta si festeggia ancora increduli. Da una parte lo "zar" Fedor Emilianenko, figlio di un'insegnante e di un saldatore (..da cui forse eredita la tempra solida e il carattere imperturbabile!!), e dall'altra lo sfidante gaucho Fabricio Werdum. E quella che si è consumata stanotte è la prima "vera" sconfitta del talento russo.
La prima macchiolina a sporcare il suo record intonso era stata quella sconfitta con Kohsaka al RINGS nel 2000. Niente di infamante. Un taglio dopo pochi secondi dall'inizio del match. La storia si ripete nel secondo incontro della saga "Fedor-Minotauro", montata ad arte dall'organizzazione del compianto Pride, e arriva la seconda macchiolina.
Ma il russo alla fine perde.
Il sapore amaro della sconfitta fa parte di quel corredo che l'atleta si porta sempre appresso. E oggi, a brindare questa volta a cachaça, è Fabricio "Vai Cavalo" Werdum, su cui, a dispetto di un palma res da fuoriclasse, nessuno avrebbe scommesso una cicca.
Lo scontro tra i due non è durato molto. Una manciata di pugni a testa e Werdum, senza che il suo avversario andasse mai pienamente a segno, perde l'equilibro per la foga dei colpi dell'avversario e cade all'indietro.
Tutti pensano subito al ko e forse lo fa anche il russo che commette il primo errore. Affida tutte le sue speranze al "ground and pound" che gli aveva già dato la vittoria con un altro campione dell'arte suave come Minotauro. Fedor cade, all'istante, in un triangolo (..più per colpa sua che non per merito dell'altro!!) ma in un battito di ciglia ci si sfila e inizia a martellare. Non mi sembra convinto. Ma soprattutto non rivedo in quei colpi, quelle mazzate larghe e potenti che avevano centrato il testone di Minotauro qualche anno prima. L'impressione che ho avuto è stata che il russo cercasse, in qualche maniera, l'interruzione dell'arbitro.
E' qui, secondo me, che Fabricio fa il miracolo. Si muove con la precisione di un felino nella giungla. Individua la preda e la colpisce nel suo punto più debole. Werdum fa un movimento col bacino che sposta letteralmente tutti i 110 chili di Fedor contro la rete. Il russo è in bilico. Schiacciato tra la grata e le gambe del gaucho. Fa per rimettersi in sesto ma è quello il momento in cui il triangolo si sigilla intorno alla sua testa irrimediabilmente. Da lì è solo questione di secondi e il suo braccio finisce per scricchiolare tra le gambe del brasiliano.
Tutto accade in un minuto e 9 secondi.
Chi combatte sa che per arrivare vivi alla fine di quei 69 secondi, bisogna passare per una via crucis lunga e faticosa. Allenamenti duri, dolore alle ossa e ai muscoli, la testa che scoppia ogni volta che si scende dalla materassina. Questa è la vita di un atleta quando i riflettori si spengono e il tempo del match è ancora lontano.
La via crucis di Fabricio Werdum, ad aprile, si è incrociata con le mie vacanze in California. Ci siamo visti ed allenati nella sua palestra di Marina del Rey, un paio di volte, sotto lo sguardo attento di Ratinho. Alla fine di quegli allenamenti uscivo per andare a cena che sembrava mi avessero paracadutato su un altro pianeta. Non avrei riconosciuto nemmeno mia madre. Ero a pezzi. Distrutto. Non avevo la forza di portare la forchetta alla bocca. Mi riprendevo puntualmente solo dopo un chilo di carne e mezzo litro di coca zero.
Fabricio era una macchina da "Formula 1": forte, pesante, preciso.
Ratinho, come i migliori meccanici, al primo scoppiettare del motore, sapeva dove mettere le mani per aggiustarlo.
Sono uscito da quella lezione triste. Mi sembrava di essere così lontano dalla cintura nera che porto. Mi sembrava, dopo aver visto con quale precisione Ratinho si muoveva tra i vari ingranaggi del jiu-jitsu, quanto sapessi poco del mistero dell'arte suave.
Mi resta poco da dire dopo la magia e lo spettacolo di Ratinho e Fabricio, però una cosa la voglio aggiungere a tutti i costi: "Graças a Deus sou um lutador de jiu-jitsu!!".

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