Gracie Magazine - Agosto, 1999 |
Mi chiamo Rodrigo Leite Medeiros ma tutti mi chiamano "Comprido". Sono nato a Rio de Janeiro l'11 gennaio del 1977. Ho iniziato a fare jiu-jitsu nel 1992. Ero poco più di un ragazzo. Non ho mai smesso o fatto un solo passo indietro. In pochi anni mi sono guadagnato la cintura nera e lo scorso anno, alla prima occasione, ho scelto di continuare a battermi coi migliori al Mundial. Ho perso con Paulao alla seconda lotta. Dieci minuti sotto. In mezza guardia. Senza poter fare nulla. Sono uscito di lì che se avessi potuto avrei ucciso un leone a mani nude. Ho fatto di tutto per lottare di nuovo all'assoluto e, alla fine, per l'Alliance, siamo stati scelti io e Cláudio Moreno. Ho lottato con Renato Ferro, che già mi aveva battuto una volta in passato, e subito dopo mi sono scontrato con Zé Mario. In finale mi sono ritrovato davanti Roleta della Gracie Barra. Abbiamo chiamato la guardia insieme, mi sono subito rialzato e sono passato in vantaggio. In pochi secondi ho realizzato che avrei potuto buttarmi su quel piede e finirlo con un'americana. L'ho fatto e sono andato a prendermi la medaglia che avevo sognato per tutti questi anni.
Oggi, sabato 29 luglio del 2000, sto per salire ancora una volta sullo stesso tatami. Ogni volta sembra sempre più difficile. Sono nell'area di riscaldamento. Manca poco alla battaglia. Nino Schembri, uno dei lottatori più forti che abbia mai visto calcare la materassina del Tijuca Tênis Clube, è il mio prossimo ostacolo.
All'improvviso lo stadio intero si ammutolisce e, nonostante la tensione, allungo il collo e cerco di guardare meglio. Sullo stesso quadrato dove di lì a poco dovrò lottare c'è un ragazzo steso a terra, circondato dai paramedici che cercano in tutti i modi di rianimarlo. Da lontano mi sembra Erik Wanderlei, una cintura marrone di Belo Horizonte, con cui avevo fatto amicizia in tutti questi anni di jiu-jitsu. Mi avvicino preoccupato. E' uno sconosciuto. fermo. Immobile. Steso a terra senza vita. Faccio di tutto per aprire un varco verso l'uscita. Le telecamere di SporTV sono accese e puntano dritte verso la faccia bianca come quella di un fantasma del ragazzo svenuto. Ne prendo a calci una e, alla fine, riesco a farlo caricare sull'ambulanza. Rientro nello stadio. Stanco. Sudato. Sfinito. E sento solo gracchiare l'altoparlante: "Ringue 1, Antonio Schembri e Rodrigo Medeiros!".
Pochi minuti dopo l'incidente - Rio de Janeiro, 29 luglio 2000 |
Ho conosciuto Comprido nel mio secondo viaggio in Brasile nel 2002. Un lottatore formidabile. Come direbbe lui stesso "non un fenomeno, ma uno che ha battuto lottatori fenomenali". In quell'anno, nel 2000, si è guadagnato, battendo in finale Margarida, la sua seconda medaglia d'oro al Mundial nella categoria Assoluto. Era solo al suo secondo anno nelle cinture nere.
Il ragazzo che ha provato a soccorrere sul tatami si chiamava Jean Mendonça de Mesquita. E' morto in mezzo a più di 5000 persone come un cane. Steso a terra da un infarto dovuto all'abuso di sostanze dopanti. I genitori fecero quasi quattro giorni di pullman da Fortaleza fino a Rio de Janeiro per venirselo a riprendere morto.
In quell'ultimo fine settimana di luglio del 2000 al 451 di Rua Conde de Bonfim si sono dati appuntamento i migliori di tutti i tempi: Nino, Margarida, Shaolin, Leozinho, Leo Santos, Feitosa, Tererê, Zé Mario Esfiha, Café, Cachorrinho, Leo Leite, Gurgel, Arona, BJ Penn, Soca, Frédson Alves, Édson Diniz, Omar Salum, Robson Moura, Roleta, Parrumpinha e tantissimi altri.
Alcuni di loro hanno vinto, altri no. Resta il fatto che quello che ho scritto sopra, parlando con la voce di Comprido, è successo per davvero. Nino e Comprido hanno lottato come due tigri in un buco quel giorno (VIDEO - Comprido vs Nino Schembri @ Mundial 2000) e Jean è morto sul serio (Veja 9/8/2000 - Ed. 1661). Non per caso e nemmeno per finta. Davvero. Il settimanale brasiliano Veja chiude l'articolo sulla morte del giovane così:
Tudo indica que Jean Mendonça de Mesquita tenha caído na tentação de vitaminar seu corpo com remédios veterinários. De acordo com a investigação policial em andamento, atletas inscritos no campeonato mundial relataram que ele injetou Potenay minutos antes da luta fatídica. O laudo médico preliminar confirma que "informações colhidas no local davam conta de que ele teria usado a substância". Um fator que pode ter contribuído para o desfecho trágico foi a predisposição da vítima a doenças cardíacas. O pai de Jean implantou cinco pontes de safena no ano passado. O lutador cursava o último ano de administração de empresas, era casado com Camila, de 20 anos, e tinha um filho, Gabriel, de apenas 11 meses. Pensava em parar de competir e abrir uma academia em Fortaleza, onde morava. O sucesso no campeonato em que morreu era parte fundamental de seu plano, já que seria promovido a faixa preta, graduação mais alta do jiu-jítsu. Nos quinze dias antes da luta fatal, obedecia a uma rigorosa rotina de oito horas diárias de treinamento. "Ele estava muito forte", afirma o treinador Giancarlo Vidal. Os resultados definitivos dos exames realizados no corpo de Jean, que serão concluídos nos próximos trinta dias, devem confirmar se a potência muscular foi obtida à custa de doses para cavalo."
Comprido, in questi ultimi giorni, ha condannato il fenomeno del doping nel jiu-jitsu con una bellissima lettera (Testo - Tatame 8/4/2011) che credo tutti gli appassionati veri abbiano letto con piacere. Credo sia inutile aggiungerla in coda a quest'articolo ma invito comunque chi ancora non l'ha fatto a leggerla con attenzione.
Il mio parere personale a riguardo è molto semplice. Io ho scelto di vivere una vita sana, di riposare quanto basta, di mangiare bene e lasciar perdere le schifezze, di allenarmi, come alle volte è stato, fino allo sfinimento, ma soprattutto di essere una persona per bene, un uomo onesto. Non mi interessa molto delle scelte degli altri. Credo che i conti, alla fine, non si facciano sulla materassina davanti a un pubblico in delirio che applaude la tua vittoria ma a casa. Allo specchio o davanti alle persone che ami. Tua moglie. I tuoi figli. I tuoi amici. La tua famiglia. A te stesso come a loro non puoi mentire. Non puoi guardarti negli occhi e dire finalmente: "Ce l'ho fatta!", quando sai che, contando solo sulle tue forze, non saresti arrivato da nessuna parte.
P.S.: il titolo l'ho preso in prestito da un bellissimo libro di Marco Gregoretti, "Campioni di niente. Miti in provetta." Da leggere assolutamente!
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