domenica 6 settembre 2009

Sun Tzu, Martin Rooney e il mio jiu-jitsu.

Per farsi un’idea abbastanza precisa sull’importanza dell’argomento basta una domanda: “Quante volte, prima di partecipare a un campionato, nella vostra accademia vi siete sentiti ripetere che senza una strategia studiata e ben impostata in allenamento non si va lontano?!” Ovviamente la risposta può variare a seconda del grado e, quindi, degli anni di pratica che si hanno alle spalle. Ma comunque, anche l’ultima delle cinture bianche è stata invitata fin da subito a pensare, e a mettere successivamente in pratica, una strategia che si adattasse al meglio alle proprie caratteristiche fisiche e alla propria attitudine. E, di contro, a non salire mai sulla materassina senza avere un’idea precisa di ciò che si vuole fare, adattandosi così, pericolosamente, al gioco dell’avversario.

E proprio un articolo di Martin Rooney, una specie di “guru” della preparazione atletica, sull’importanza della strategia nel jiu-jitsu competitivo, ha finito per catturare la mia attenzione. Il motivo è semplice: Rooney parte da alcuni passi dell’arcinota opera di Sun Tzu, “L’arte della guerra”, per dimostrare come le idee di un condottiero di 2000 anni fa siano tutt’oggi valide e, soprattutto, applicabili alla pratica sportiva dell’ ”arte suave”.

Tralasciando tutto ciò che Sun Tzu afferma sull’importanza del conoscere la strategia del proprio avversario, cosa praticamente impossibile in un campionato di jiu-jitsu in cui si deve lottare con almeno quattro o cinque atleti differenti, sembra invece molto interessante l’assunto da cui lo stesso autore parte: prima di tutto bisogna avere ben chiaro il proprio modo di lottare. Applicato al jiu-jitsu, il concetto deve quindi servire a capire, secondo quanto scrive Rooney, quali siano le posizioni in cui ci si trova meglio e si è più pericolosi. Concetto spiegato assai bene da uno schema di facilissima comprensione.


La prima osservazione che si potrebbe fare riguarda, ovviamente, il fatto che i parametri sopra raffigurati appaiono strettamente collegati tra loro. Per esempio, un tipo di gioco particolarmente orientato alle finalizzazioni non sarà per forza riconducibile ad un atleta a cui piace fare guardia, ma sicuramente il parametro “fare guardia” porterà ad un numero maggiore di occasioni per l’atleta di terminare l’incontro prima del tempo limite. Come, d’altro canto, una strategia che predilige stare sopra sarà per forza preceduta da un gioco orientato alla proiezione. In sostanza, ci sono diverse possibili combinazioni tra i sei parametri da cui è composto il grafico. Combinazioni che l’atleta deve analizzare, come scrive Rooney: “to gain a better understanding of himself”, e solo quando “an athlete begins to understand this, already a strategy should begin”. Il concetto, in conclusione, è semplice: “I vostri single leg funzionano con gran parte dei vostri compagni d’allenamento?!” Partite da quella tecnica, quindi, e cercate di costruirci intorno, passo dopo passo, la vostra strategia. “Dalla mezza guardia riuscite quasi sempre a invertire la posizione?!” Stessa cosa.

Resta solo da studiare, quindi. Ma in sostanza, lo studio riguarda solo noi stessi.

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